Nonostante le diverse modalità di interpretazione, lo sviluppo del linguaggio ha un suo andamento tipico, facilmente osservabile in ogni bambino.

Esiste infatti una sequenza di fasi, di periodi di sviluppo che vanno dal primissimo pianto alla costruzione più complessa che caratterizza la frase nell’adulto.

Si dice, per definizione, che un bambino ha problemi di linguaggio quando per una qualunque ragione, egli presenti un ritardo significativo nell’espressione e/o comprensione linguistica rispetto ai bambini di pari età.

E’ comunque un’impresa piuttosto complicata distinguere la normalità dalla patologia nei primi anni di vita in quanto, sia l’età in cui il singolo bambino inizia a parlare, sia la velocità di acquisizione del linguaggio, sono molto variabili.

Malgrado ciò, esistono strumenti in grado di dire se le capacità di un certo bambino sono tipiche della sua età oppure no, tenendo sempre a mente che si può saper parlare senza saper comunicare e si può saper comunicare senza saper parlare.

I disturbi di tipo linguistico/comunicativo possono essere secondari, cioè derivare da altre patologie quali ad esempio il ritardo mentale, un disturbo motorio del distretto oro-facciale, un disturbo della personalità psicotico come l’autismo o i deficit uditivi.

Riguardo a questi ultimi, intendo  riprendere alcuni dati di un articolo pubblicato nel gennaio 2010 a cura di Vera Schiavazzi, che basandosi su studi riguardanti bambini inglesi, tratta di come anche in Italia cresca in modo esponenziale l’attenzione sul ritardo del linguaggio e, parallelamente la rapidità nell’individuarne e curarne le ragioni. Da qui  la richiesta di introdurre nel nostro paese, e la conseguente realizzazione, di uno screening audiologico subito dopo la nascita.

“A diciotto mesi, un bambino su quattro non è ancora in grado di pronunciare quelle 20 diverse parole che gli standard internazionali hanno individuato come “soglia minima” al di sotto della quale si può diagnosticare un ritardo nel linguaggio. E la percentuale sale se si considerano soltanto i maschi, dei quali si conosce da sempre una maggiore precocità motoria e una “pigrizia” nell’esprimersi”.

Lo sviluppo del linguaggio è fortemente influenzato, oltre che da fattori innati ed organici, anche da fattori ambientali e dalle stimolazioni che si ricevono all’interno dello specifico contesto evolutivo.

Si sostiene, infatti, che la responsabilità delle sempre più diffuse difficoltà linguistiche, siano attribuibili alla visione della televisione fin da piccolissimi, allo stress quotidiano, alla mancanza di tempo per la lettura di fiabe e il numero sempre maggiore dei figli unici.

E’ ipotizzabile che il modo con cui un bambino ha evoluto il suo primo linguaggio possa avere profonde ripercussioni sul suo sviluppo futuro, sia a livello cognitivo, sia nell’evoluzione di sentimenti di fiducia nelle proprie capacità e nella propria abilità di comunicare con gli altri.

Cosa si può fare per promuovere lo sviluppo del linguaggio del bambino? 

Lasciare parlare il piccolo senza interromperlo  anche se sbaglia, ascoltandolo con attenzione, favorire i suoi gesti, ripetere correttamente le parole senza pretendere che lo faccia anche lui, parlare e comunicare a lungo con il proprio bambino, in particolare dopo i 3 anni, leggere racconti coinvolgendolo attivamente nel dialogo, ponendogli domande, spronandolo.

Da evitare invece la presa in giro o, peggio, l’abitudine di far finta di non aver sentito se la parola è stata pronunciata in modo approssimativo, impedendo così l’acquisizione di determinate e fondamentali abilità comunicative.

a cura della dottoressa Valeria Pacchioni

Dott.ssa Valeria Pacchioni, laureata in Logoterapia alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Aggiornato al 23/1/2020